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  • Chiara Leporati

Roma, Tor Sapienza: la street art trova casa al MAAM

Il MAAM, Museo dell'Altro e dell'Altrove: uno spazio divenuto città, una città divenuta museo. La storia di Metropoliz_Città Meticcia.

Il MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove, è una città dentro una capitale. Un luogo reale che guarda “altrove”. Uno spazio divenuto città, una città divenuta museo nel 2012. Arte e vita quotidiana si confondono, si mischiano e si salvano.

Ecco la la storia di Metropoliz e del MAAM.


Un grande stabilimento oggi rivive al civico 913 di via Prenestina. Era, in origine, un luogo triste, cupo. Uno spazio in cui non si era mai celebrata la vita. L’ex salumificio Fiorucci si stagliava nella periferia est di Roma, più precisamente nel quartiere di Tor Sapienza. Ma in un giorno di marzo 2009 tutto questo cambiò.


La posta in gioco la vita nostra Uno striscione appeso alla finestra Che denuncia l’ingiustizia vostra


Con questo striscione appeso lo stabile, dopo 10 anni di disuso, viene occupato grazie all’aiuto dei Blocchi Precari Metropolitani, un’organizzazione che rivendica il diritto dell’abitare. Duecento persone – italiani, marocchini, ucraini, peruviani, rumeni – senza una casa ne trovano finalmente una. Benvenuti a Metropoliz_Città Meticcia.


Un cancello verde. Tante cassette della posta affisse. Ci si addentra ed è un tripudio di opere d’arte: ogni oggetto, ogni angolo, ogni muro ha qualcosa da raccontare.


E la ferale natura di questo luogo ce la ricorda fedelmente un dipinto di Pablo Mesa Capella e Gonzalo Orquin: un’intera parete ospita un’opera di 30 m. Quindici maiali squartati e appesi a ganci ci riportano indietro nel tempo, a ciò che qui realmente accadeva.

Ma i due artisti spagnoli celebrano anche la possibilità di uscire dalla sofferenza, di e-MAAMciparsi. Due maiali, infatti, spiccano il volo… verso la libertà. Qui, nella Cappella Porcina, i maiali decidono di divenire padroni dei loro destini e, così, compiono una scelta. Perché c’è sempre un’altra possibilità anche quando tutto sembra perduto.

Questa è la storia dell’Altro, della diversità, che si integrerà nel 2012 con l’Altrove.

Ma cos’è l’Altrove?


Metropoliz, anno 2011. Due antropologi e film maker bussano al 913 della Prenestina: sono Giorgio De Finis e Fabrizio Boni. Hanno un’idea, un progetto cinematografico in testa, e si immaginano una storia: i Metropoliziani vivono felici ma gli abitanti della Terra non li capiscono, non comprendono la loro vita così fuori dagli schemi. Decidono, quindi, di costruire un razzo per partire e atterrare sulla Luna, perché la Luna non è di nessuno e nessuno la può comperare.


Eccolo l’Altrove. La Luna.


Il cantiere cinematografico prende vita. Gli ingranaggi si muovono e filosofi, scienziati e numerosi artisti riescono a portare la Luna sulla Terra. Vede la luce Space Metropoliz. La prima opera contemporanea realizzata, divenuta subito simbolo della città meticcia, è stata il telescopio di Gian Maria Tosatti: barili di petrolio, lenti e ferro i materiali utilizzati. Come richiesto dai Metropoliziani, fu collocata in cima alla torre dello stabilimento, così che tutti gli abitanti del quartiere potessero vederla: un modo per esistere agli occhi di chi non voleva notarli.

E fu così che l’arte chiamò altra arte.

Metropoliz, anno 2012. Terminano le riprese ma la città meticcia non vuole che il cantiere chiuda. E così, come prosecuzione ideale, nasce il Museo dell’Altro e dell’Altrove, il MAAM. Il primo nucleo era già presente: i relitti artistici del set cinematografico costituivano già una buona collezione. Da questo momento, però, l’arte prolifererà a sostegno e difesa dell’occupazione. Non è un caso, infatti, che i Guardiani della luce proteggano l’ingresso di Metropoliz: Stefania Fabrizi raffigura la moltitudine che crea unità.

E vivere con l’arte, dentro l’arte, è quello che fanno anche i bambini di Metropoliz. Uno spazio, al piano superiore dello stabilimento, è stato pensato appositamente per loro. Una ludoteca dipinta e colorata per insegnare, studiare e giocare tutti insieme. Veronica Montanino dedica ai piccoli metropoliziani il suo grande blob color carta da zucchero. La parete di fronte è affidata, invece, alla maestria della nota street artist romana Alice Pasquini.

Ma il viaggio non si ferma e si continua a girovagare tra dedali coloratissimi, panni stesi e odore di cibo. Seguendo la scia ci si ritrova in una sala comune, una grande stanza, con adiacente una cucina, colma di opere.

E queste non hanno cartellini, non hanno didascalie ma, come ingredienti, si mischiano con la vita quotidiana. La ricetta ottenuta è un mix pazzesco e disorientante: a volte non si sa più se quella che si sta osservando sia un’opera o meno.

Tutto di un tratto ci si imbatte in loro: Cat Woman, Wonder Woman e Hulk. Con una firma: Solo. Lui, street artist romano, amante dei fumetti, porta al MAAM i suoi supereroi, umanizzandoli.

E se i colori sgargianti qui la fanno da padroni basta fare pochi passi per rimanere stupiti. Dipinti? No! Bensì disegni realizzati con una penna a sfera. Mauro Maugliani, con leggiadria e grazia, disegna volti di giovani donne la cui intensità non può lasciare indifferenti.

Ma questo luogo magico è abitato anche da strane creature. Nicola Alessandrini, su una parete piastrellata bianca, ci mostra animali dalle sembianze umane: un modo per scacciare ciò di cui si ha paura.

Mauro Sgarbi, invece, con colori vivacissimi, fa sua un’intera parete raffigurando alberi antropomorfi che si innalzano verso il cielo, circondati da enormi farfalle variopinte.

Le mosche di Francesco Petrone, invece, ci riportano, non senza strapparci un sorriso, alla realtà.

Un mondo parallelo, insomma, ma fortunatamente reale. La luna scesa in terra. Dare una definizione del MAAM non è semplice. È un museo per chi lo visita, è una casa per chi lo abita, è una città per la comunità che lo vive.

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