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Simona Sanchirico

La Basilicata di Leonardo Sinisgalli

Antica terra di poesia, polvere e archeologia


Leonardo Sinisgalli, il poeta delle Due Muse, nel suo studio Olivetti a Milano, davanti a uno schema di vetrina (Forma Urbis, apr. 2016, p. 1)

Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi, a chi scende per la stretta degli Alburni o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra, al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato, a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante la Lucania apre le sue lande, le sue valli dove i fiumi scorrono lenti come fiumi di polvere.
Lo spirito del silenzio sta nei luoghi della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto, sofistico e d’oro, problematico e sottile, divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati.
Il sole sbieco sui lauri, il sole buono con le grandi corna, l’odorosa palato, il sole avido di bambini, eccolo per le piazze! Ha il passo pigro del bue, e sull’erba sulle selci lascia le grandi chiazze zeppe di larve.
Terra di mamme grasse, di padri scuri e lustri come scheletri, piena di galli e di cani, di boschi e di calcare, terra magra dove il grano cresce a stento (carosella, granturco, granofino) e il vino non è squillante (menta dell’Agri, basilico del Basento) e l’uliva ha il gusto dell’oblio, il sapore del pianto.
In un’aria vulcanica, fortemente accensibile, gli alberi respirano con un palpito inconsueto; le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo. Cumuli di macerie restano intatte per secoli: nessuno rivolta una pietra per non inorridire. Sotto ogni pietra, dico, ha l’inferno il suo ombelico. Solo un ragazzo può sporgersi agli orli dell’abisso per cogliere il nettare tra i cespi brulicanti di zanzare e di tarantole.
Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse. Tornerò senza colpe a battere il tamburo, a legare il mulo alla porta, a raccogliere lumache negli orti. Udrò fumare le stoppie, le sterpaie, le fosse, udrò il merlo cantare sotto i letti, udrò la gatta cantare sui sepolcri?
(Leonardo Sinisgalli, “Lucania”, da I Nuovi Campi Elisi, 1947)

Le immagini più efficaci della poesia di Leonardo Sinisgalli (Montemurro-PZ 1908 -Roma 1981), cantore per antonomasia dei paesaggi lucani, pieni di luce e nostalgia, sono ispirate certamente dai suoi ricordi più intimi, legati in gran parte ai suoi natali, alla famiglia, al mondo agreste e insieme poetico della sua terra d’origine. Versi, i suoi, che hanno dato voce allo “spirito del silenzio” che da sempre abita questa “terra magra”, solcata da “fiumi di polvere”, la “polvere” tipica dei paesi lucani, “vecchi e franati”, che continuiamo a immaginare diruti, senza tempo, non ancora industrializzati, anche oggi che sono rientrati prepotentemente nel flusso della storia più attuale per via di quell’oro nero che scorre nelle loro profondità, ma che non porta ricchezza alcuna o benefici alla “dolorosa provincia”. Benefici che invece l’archeologia – scienza che insieme è umana, tecnologica, pedagogica, sociale – ha saputo senz’altro produrre: da decenni, infatti, l’importanza storica di questa regione – “sofistica e d’oro” ma ancora troppo poco (ri)conosciuta ai più – attira a sé équipe nazionali e internazionali di studiosi che si cimentano, in loco, nella ricostruzione del suo passato mettendone in evidenza vestigia e dignità.


Per rimanere aggiornati sull’archeologia della Basilicata antica, terra di passaggio, nei secoli, e importantissimo crocevia di popoli e di culture, consultare il sito web del Ministero della Cultura: www.basilicata.beniculturali.it

 

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